venerdì 27 settembre 2013

e si guarda ancora a città e territori lontani dalla realtà

Sembra che al momento siano sostanzialmente due le proposte di revisione della legge urbanistica regionale, avanzate una dalla Giunta regionale e una dal Forum dei movimenti per la terra e il paesaggio delle marche (sarei lieto se qualcuno spiegasse la necessità di questa distinzione terra-paesaggio) .
Entrambe le proposte, al di là degli aspetti positivi che comunque portano rispetto all'attuale testo di legge, sembrano non sapere o non volere cogliere fino in fondo l’opportunità di una profonda riflessione sul senso e sugli obiettivi del fare urbanistica in una realtà radicalmente mutata sotto l’effetto della crisi economica e della sempre più diffusa consapevolezza ecologica nella società civile.
La minore esigenza di nuova edificazione e la centralità del tema del recupero, l’urgenza di una riqualificazione ambientale che porti ad un generale miglioramento delle condizioni di vita nelle città, le esigenze di risparmio energetico e di limitazione riduzione dei costi nell’edilizia, la spinta verso un rilancio del trasporto pubblico, l’opportunità di un ritorno ad un protagonismo dell’autorità pubblica nella pianificazione territoriale, la necessità di dimagrimento della burocrazia e della stratificazione dei livelli amministrativi, la tangibile trasformazione degli assetti urbani nella regione che impone una accurata analisi dell’attuale architettura insediativa e della dinamica dei flussi funzionali, sembrano toccare soltanto marginalmente i due testi di legge proposti.

La complessità del compito che attende gli urbanisti nella riscrittura della pianificazione regionale alla luce delle trasformazioni attuate ed in corso di attuazione appare tanto più ingente quanto ampia appare la distanza con l’atteggiamento che sta alla base dei due testi di legge proposti, ripiegati su una tediosa gerarchiazzazione e composizione dei livelli amministrativi, su infiniti passaggi istituzionali, che tuttavia – implicitamente - lasciano l’iniziativa del disegno del territorio agli interessi privati, fondati ancora sulla speculazione immobiliare.

Per affrontare questa complessità è utile articolare la questione urbanistica in tre livelli riferibili,in sintesi, alla struttura, alla titolarità, ed alle pratiche della pianificazione territoriale oggi.

1.

L’ordinamento dell’attività di panificazione del territorio è oggi strutturato sul modello deduttivo, di chiara derivazione positivista, che procede dal generale al particolare, quindi dalla scala Regionale a quella Provinciale e Comunale. Le due proposte di legge non modificano questo modello, aggiungendo semplicemente il livello “intercomunale” tra quello provinciale e comunale.
Questa nuova dimensione intercomunale appare sostanzialmente un ulteriore stadio amministrativo senza precisi riferimenti al riconoscimento della mutata configurazione dei sistemi insediativi. Non è chiarito chi e in base a che cosa arrivi a definire gli ambiti intercomunali. Non è parimenti definito come possa inserirsi un reale processo partecipativo – elemento innovativo davvero necessario nella nuova pianificazione – se la dimensione locale appare addirittura depotenziata e sottomessa alla nuova scala intercomunale.
Il cambiamento dei contenuti e dei modi della pianificazione deve potersi esprimere innanzi tutto come cambiamento culturale e di pensiero.
Il processo deduttivo-positivo va quindi sostituito da un processo basato sul concetto di dialogo e solidarietà. Un processo che invece che scendere dall’alto al basso, riesca a svilupparsi contemporaneamente dall’alto e dal basso per definirsi al centro, che in luogo della sequenza ante-post si esprima come continuo confronto dialogico analisi-decisione-verifica.

Pensiamo che a livello regionale si debba esprimere un solo atto di pianificazione, comprensivo di tutte le tematiche specialistiche e continuamente in evoluzione in quanto sensibile ai mutamenti delle condizioni globali e alle sollecitazioni provenienti dai territori.
Pensiamo che a livello comunale debba esprimersi il processo partecipativo attraverso il riconoscimento del valore collettivo dei luoghi. Un percorso educativo ed espressivo rivolto a chi abita il territorio che sappia fornire elementi conoscitivi generali sulla realtà regionale, sulla storia e sui processi di formazione degli assetti attuali, che manifesti, attraverso lo statuto dei luoghi, anche la dimensione affettiva di una comunità civile verso la “sua” terra, ed attraverso questa delinei l’aspettativa per una realtà futura.

Questi due cammini, diversi nel modo di osservare e nei linguaggi utilizzati, devono poter trovare una sintesi a livello intercomunale. Un livello, quello intercomunale, che non è una “fase aggiuntiva” nel processo di pianificazione, ma rappresenta davvero l’unità territoriale di base.
Questi ambiti “conformi” nello scenario territoriale regionale devono essere riconosciuti attraverso una accurata analisi delle unità di paesaggio, delle reti, dei sistemi insediativi complessi, delle strutture funzionali. Questo riconoscimento deve avvenire all’interno ed all’inizio del processo di formazione dello strumento urbanistico regionale. Deve riverberare nelle discussioni attorno agli statuti dei luoghi ed anche da queste assumere elementi per definire ambiti che quasi mai possiamo considerare come “perimetri chiusi” ma semmai come gangli di un sistema nervoso diffuso e ramificato ,o meglio, di più sistemi a rete sovrapposti e correlati.
Questo aspetto è di grande importanza per evitare di riprodurre uno “zoning” che apparirebbe una grottesca trasposizione di una visione funzionalista del territorio assai distante da una cultura, quella odierna, che dovrebbe ormai aver fatto propri i principi dell’ecologia.

Lo studio per l’individuazione degli ambiti territoriali - siano essi sistemi policentrici urbani, che tessuti insediativi diffusi di tipo rurale – è di estrema attualità ed andrebbe posto alla base di una nuova stagione di dibattito urbanistico nella regione.

2.

La titolarità della pianificazione ormai da anni è solo apparentemente nelle mani della pubblica amministrazione. In realtà l’iniziativa urbanistica è svolta quasi essenzialmente dai soggetti privati sotto la spinta degli interessi immobiliari. La mancanza di fondi pubblici ma soprattutto la deriva neoliberista della politica italiana hanno trasformato la parte pubblica da “controparte” dei privati che agisce nell’interesse della collettività a “socia in affari” dei soggetti privati con la preponderante finalità di dividersi con questi i proventi dell’attività edilizia per chiudere il bilancio comunale in pareggio.
Oltre che profondamente deviato, questo atteggiamento è fallimentare sul piano finanziario ed ormai estraneo alle mutate condizioni socio-economiche nella crisi di sistema che stiamo attraversando.
La crisi ha portato ad una stagnazione del mercato della nuova edificazione. Il problema oggi non è governare le pressioni dei soggetti interessati a compiere trasformazioni del territorio, ma è individuare soggetti interessati a fare investimenti in una situazione in cui a fronte di una enorme disponibilità di invenduto e dimesso è venuto meno l’interesse economico nelle costruzioni.
Occorre quindi che il soggetto pubblico introduca nel territorio una capacità di visione, un dinamismo ed una progettualità capaci di far apparire appetibile un territorio altrimenti destinato all’abbandono. Gli strumenti per far questo sono quelli propri della pianificazione urbanistica e della progettazione architettonica, le uniche discipline che possiedono (o meglio dovrebbero possedere) la naturale attitudine di affrontare la questione territoriale non in termini monetari, ma in termini di relazioni virtuose, di valori aggiunti, di progresso e di bellezza.

Ci troveremo ad affrontare situazioni in cui ci saranno ben pochi interventi di trasformazione, per lo più rivolti al recupero dell’esistente.
Situazioni complesse, con proprietà spesso frazionate, destinate - se vincolate ad una accordo di tutti i soggetti coinvolti - a bloccarsi con estrema facilità e dare luogo a infiniti contenziosi.
Per gestire questi progetti complessi è auspicabile il ritorno allo strumento dell’esproprio ed al coinvolgimento  dei soggetti privati in una dimensione societaria. La Società di trasformazione urbana può divenire, se gestita in modo adeguato, lo strumento attuativo più efficiente e che può garantire il pieno controllo pubblico della qualità dell’intervento.
In molti casi è prevedibile che l’intero piano regolatore, nella dimensione comunale, possa essere gestito attraverso STU. La generalizzazione della procedura di esproprio nei processi di trasformazione del territorio potrebbe portare al tramonto della speculazione fondiaria, che sta alla base della devastazione operata negli ultimi 50 anni di delirio urbanistico.

Ma la dimensione propria del PRG non è quella comunale, bensì quella dell’ambito intercomunale che è destinato a diventare anche ambito ottimale per l’organizzazione del sistema socio-assistenziale, per quello scolastico, per la gestione dei rifiuti e dei servizi a rete.
Ai sindaci dei comuni, dopo l’iniziale presa di coscienza attraverso lo statuto dei luoghi, resta il compito di attuare le previsioni del PRG attraverso il piano operativo, nell’attesa di una ricomposizione del sistema amministrativo su base regionale che, con l’affermazione della dimensione  intercomunale, porti progressivamente alla scomparsa delle province e dei piccoli comuni stessi.

Se i soggetti base della gestione del territorio sono quindi la Regione e gli ambiti intercomunali, una delle prime cose da attivare - una volta riconosciuti gli ambiti – sarà un sistema di monitoraggio e di ri-valutazione costante che faccia capo questi due soggetti.
Pensiamo da un lato ad un osservatorio regionale in relazione permanente con degli uffici di piano collocati in ciascun ambito intercomunale. Una struttura tecnica che dovrebbe assomigliare più ad un centro studi che ad un apparato amministrativo, collegato ai dipartimenti universitari ed agli altri centri di elaborazione presenti sul territorio. Una struttura che sappia trasmettere alla politica informazioni adeguate per metterla in grado di assumere decisioni basate sul quadro reale della situazione.

E’ questo centro studi che, interagendo anche con la dimensione locale, definisce ed aggiorna le strategie ponendole al vaglio della politica, a partire da orizzonti da questa delineati.
Ciò permette di sostituire l’idea di un controllo legislativo – fatto con vincoli, direttive, parametri e standard numerici – con un controllo tecnico-disciplinare operato in relazione alle diverse situazioni in essere.
Il principio dello stop al consumo del territorio, ad esempio, resta sempre valido in quanto principio, ma può assumere contorni di ottusità se rapportato, ad esempio, ad una realtà urbana addensata ed ai limiti del collasso ambientale, laddove invece la visone di un riassetto complessivo del sistema potrebbe dar luogo, attraverso operazioni di diradamento e limitate occupazioni di suolo, ad una configurazione assai migliore rispetto alla precedente, sia in termini funzionali che sociali e ambientali.

3.

Le buone pratiche sono per certi versi una variabile indipendente nel quadro di un riassetto complessivo del sistema della pianificazione territoriale regionale, nel senso che non devono attendere necessariamente l’attuazione della nuova struttura organizzativa o dei nuovi Piani previsti, potendo fin d’ora – ove si creino le condizioni politiche – concretizzarsi in esperienze pilota e così illuminare la strada che porta all’affermazione di una nuova cultura del territorio.
Il censimento del patrimonio inutilizzato e degli edifici da recuperare, in ambito comunale, sarebbe un’iniziativa estremamente utile, così come la verifica dei costi reali delle nuove urbanizzazioni a confronto con gli introiti derivanti dagli oneri di urbanizzazione.
La sperimentazione di ambiti di recupero a basso costo, in autocostruzione, o di iniziative coordinate che attraverso la leva degli incentivi sappiano rendere appetibile l’abitare nei centri storici anche per le giovani coppie.
L’affermazione di reti di percorrenza ciclabile e l’individuazione di forme agili di trasporto pubblico e/o collettivo.
Queste, come altre che non stiamo qui ad elencare, sono tutte iniziative che non possono non far parte dell’agenda di chi, nell'amministrazione  della cosa pubblica, si propone di dare un segnale di svolta, di uscire dalla logica per cui senza soldi non si può fare nulla. Logica che dovrebbe portare chi la persegue a dare coerentemente le dimissioni per l’impossibilità di dare una prospettiva, un futuro alla comunità che amministra.

Ma accanto all’ambito locale preme sottolineare l’importanza di avviare fin d’ora una ricognizione sul paese reale, sulle Marche, dopo gli ultimi due lustri in cui si è perpetuato un saccheggio incondizionato.
Pensiamo ad esempio ad una perlustrazione dall’alto, ad una descrizione della regione utile anche ad una attività educativa nelle scuole. Primo, essenziale atto di un complesso percorso di risveglio partecipativo e culturale della popolazione.

Forse, accanto alla presa d’atto degli scempi compiuti e di quanto oramai è andato perduto, ci accorgeremo che le nuove configurazioni, i nuovi paesaggi pur derivati da quei traumatici processi, mostrano aspetti interessanti, talvolta anche affascinanti. E ci mostrano già la speranza, la possibilità di un prossimo riscatto.